Artisti Piero Dorazio

Piero Dorazio

PIERO DORAZIO (1927 – 2005)

l’intenso interesse verso una espressività astratta è presente in Dorazio fin dai primi esordi del suo percorso artistico, soprattutto grazie all’incontro ancora giovanissimo con le opere di Cézanne o Balla. Nella Roma dell’immediato dopoguerra, tra le giovani generazioni era diffusa la volontà di archiviare un’idea della rappresentazione vista come filtro delle pulsioni psicologiche, culturali e sociali dell’uomo. La vocazione ingannevole e spesso retorica a cui il realismo si era prestato determinò in molti artisti il desiderio di scoprire una nuova semplicità; sorgeva la volontà di costruire un”espressività fondata sull’uso e l’osservazione di elementi primari. Allontanandosi da ogni naturalismo, l’obiettivo diventava quello di esplorare i processi della percezione, per un viaggio alla radici dell’arte in cui i protagonisti diventano i segni, le forme, i colori.

Insieme ad altri compagni di ricerca come Achille Perilli, Giulio Turcato, Mino Guerrini, lo scultore Pietro Consagra, l’architetto Carlo Aymonino, il maestro Dorazio si forma e dà vita a gruppi, esposizioni ed iniziative che poi gli apriranno la strada ad un contesto più internazionale. Fruttuosi saranno i suoi soggiorni negli Stati Uniti e in numerose capitali europee dove avrà l’opportunità di costruire strette relazioni con artisti del calibro di Klein, Rothko, Pollock, de Kooning e tanti altri.

La cifra stilistica di Dorazio appare tutta tesa alla costruzione di una vibrante valorizzazione della superficie pittorica, ottenuta generando combinazioni di reticoli cromatici che sovrapponendosi innescano processi di tensione ottica e spaziale. 

Il suo lavorare sulle trame apre ad una poetica dove il tema della composizione diventa centrale, perché ogni soggetto pittorico è il risultato di un sapiente lavoro combinatorio tra segni nei loro differenti orientamenti e colori nei loro molteplici accostamenti tonali. Si tratta di uno straordinario percorso che traendo origine nel divisionismo di fine ‘800 giunge a maturazione appropriandosi pienamente del cinematismo che i processi di quadricromia offrono all’occhio.

Fondamentale nel suo percorso sarà l’incontro con la città di Tobi, iniziato a metà degli anni ’70 con l’incarico di dirigere la Scuola per la Ceramica Moderna e consolidato poi con il suo definitivo stabilirsi nel vicino eremo di 

Canonica da lui ristrutturato e convertito in proprio atelier. Qui, circondato dalla bellezza delle colline umbre, darà il via ad un intenso e duraturo lavoro di ricerca con le fornaci del distretto imolese, si pensi alla famosa serie dei piatti a rigature policrome sotto smalto o alle sculture a elementi smaltati componibili delle torri di Babele.

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